1. LA VICENDA PROCESSUALE
In data 26 marzo 2020 (in piena pandemia da Covid19) la Guardia di Finanza di
Vicenza eseguiva, presso la ditta Amelia S.r.l., un sequestro probatorio d'urgenza in flagranza di reato (ai sensi dell'art. 501 bis, comma 3, c.p.) di un rotolo di tessuto in cotone, di una matrice per la produzione delle cosiddette "mascherine di comunità" e di una serie di documenti contabili, ipotizzando a carico del titolare della predetta società il reato di "manovre speculative su merci".
Il provvedimento cautelare reale veniva convalidato, nei termini di legge, dal Pubblico Ministero con decreto che veniva impugnato dall'indagato avanti al Tribunale del Riesame di Vicenza.
Il Tribunale di Vicenza, con ordinanza del 27 maggio 2020, n. 38, confermava, solo in parte, il provvedimento di sequestro, disponendo l'immediata restituzione del rotolo di cotone e della matrice per la produzione delle mascherine, osservando che alla luce dell'ipotesi di reato formulata in sede di indagine la finalità probatoria del sequestro poteva dirsi sussistente solo per la documentazione contabile.
L'indagato proponeva, dunque, ricorso per cassazione avverso alla predetta ordinanza, dolendosi, da un lato, dell'omessa motivazione sul profilo della concreta rilevanza probatoria di quanto rimasto in sequestro, dall'altro della ritenuta configurabilità del reato di cui all'art. 501 bis c.p. nell'ipotesi in esame.
La Corte di Cassazione, dichiarando inammissibile il primo motivo di ricorso, si soffermava sulla valutazione inerente alla sussistenza, nel caso di specie, di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa contestata giungendo a ritenerla non perfettamente integrata in quanto la condotta contestata, pur coincidente sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo a quella sanzionata dalla norma in esame, non presentava il requisito dell'attitudine ad incidere sul mercato mediante un generalizzato rincaro dei prezzi di vendita del medesimo prodotto.
2. LA NORMA DI CUI ALL' ART. 501 BIS C.P.
L'art. 501 bis c.p., inserito nel
codice penale dall'art. 1 del d.l. 15 ottobre 1976, n.
704, convertito con la L. 27.11.1976, n. 787, sanziona, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 516 a 25.822, la condotta di chiunque, "nell'esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale": ( i ) "compie manovre speculative ovvero occulta, accaparra od incetta materie prime, generi alimentari di largo consumo o prodotti di prima necessità, in modo atto a determinarne la rarefazione o il rincaro sul mercato interno", (ii) ovvero, "in presenza di fenomeni di rarefazione o rincaro sul mercato interno delle [medesime] merci [...], nell'esercizio delle medesime attività, ne sottrae all'utilizzazione o al consumo rilevanti quantità.".
La figura delittuosa in esame rientra nel novero dei cosiddetti "reati propri" potendo essere commesso solo da coloro i quali agiscano "nell'esercizio di qualsiasi attività produttiva o commerciale" e dunque solo ed esclusivamente dai produttori e dagli esercenti commerciali titolari di una ben determinata qualifica giuridica, preesistente alla condotta.
Sono pertanto esclusi i soggetti, per vero estremamente numerosi, che si dedicano alla vendita ed all'acquisto di prodotti in modo sporadico ed al di fuori di un contesto produttivo o commerciale.
Nelle condotte sanzionate dai primi due commi della norma in esame - integranti reati di pericolo (rispettivamente presunto ed astratto) - è rinvenibile un comun denominatore rappresentato dallo "stravolgimento consapevole e voluto del bilanciamento tra la domanda e l'offerta" di beni di prima necessità e di materie prime di importanza strategica sul mercato.
Nel primo comma della norma la descritta alterazione del bilanciamento costituisce
anche l'effetto diretto della condotta mentre nel secondo comma essa rappresenta il presupposto di fatto sul quale si innesta la condotta speculativa illecita.
E' peraltro pacifico che l'alterazione dell'equilibrio del "mercato interno" non debba necessariamente estendersi all'intero ambito nazionale e possa, per contro, ritenersi sussistente anche laddove l'ingiustificata destabilizzazione dei prezzi interessi comunque una significativa parte del mercato, tale da incidere sull'economia pubblica, bene giuridico protetto dalla norma in esame.
La figura di reato ha, per usare le condivisibili parole della Suprema Corte, "una articolata struttura ed una relativamente recente storia, oltre che una assai episodica applicazione".
Tuttavia, la norma - introdotta nel codice penale in un periodo storico caratterizzato da gravi crisi economiche che hanno pesantemente influenzato il mercato delle fonti energetiche (ed in particolare degli idrocarburi) - è destinata ad una seconda giovinezza in ragione del vertiginoso sviluppo di sistemi di commercio on line.
E' in tale contesto, invero, che si è sviluppato il precedente giurisprudenziale in esame.
3. LA SUSSUNZIONE DEL CASO IN ESAME SOTTO LA FATTISPECIE PENALE
Per come già anticipato, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza di parziale conferma del decreto di sequestro probatorio emanato dal Tribunale di Vicenza
in sede di riesame della misura cautelare reale.
Prima di giungere alla predetta conclusione, tuttavia, la Corte si è attentamente
soffermata a valutare se ed in che termini la condotta dell'indagato possa esser sussunta sotto la previsione delittuosa di cui all'art. 501 bis c.p.
Certa è la sussistenza della qualifica soggettiva di produttore e commerciante in capo all'indagato che operava quale rappresentante legale di una società a responsabilità limitata.
Con altrettanta univocità è stata riconosciuta la natura di "prodotto di prima necessità" alle mascherine filtranti "di comunità" prodotte e commercializzate dall'indagato, posto che nel periodo in contestazione l'impiego pressoché costante degli schermi filtranti per le vie respiratorie (anche di produzione artigianale) era stato reso obbligatorio dai provvedimenti emergenziali susseguitisi nel tempo e che i medesimi prodotti erano dunque diventati indispensabili per la collettività.
Altrettanto certa infine è la riscontrata "speculazione commerciale", legata a doppio filo all'obbligo di indossare la mascherina in ogni occasione di contatto con terzi soggetti,
imposto dalla decretazione d'urgenza derivante dal contingente stato di emergenza sanitaria ed all'obiettiva immanente necessità di procacciamento del prodotto in questione da parte della collettività.
Residua, tuttavia, un ultimo elemento costitutivo della fattispecie che la Corte di Cassazione ha ritenuto non poter riscontrare nella vicenda in esame.
Esso è costituito all'attitudine della condotta a determinare un generalizzato rincaro dei prezzi tale da incidere sul mercato interno.
Scendendo in una valutazione che attiene al merito della vicenda, la Corte giunge ad affermare che "la modesta struttura imprenditoriale a disposizione dell'[indagato], dimostrata dall'esiguità delle scorte presso di lui sequestrate e dalla unicità del macchinario utilizzato nella catena produttiva, rende del tutto improbabile la possibilità che, attraverso la sua condotta, fosse consentito incidere sul mercato in maniera tale da determinare un generale rincaro dei prezzi delle mascherine protettive".
L'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata è l'inevitabile epilogo della vicenda cauelare in esame.
4. BREVI RIFLESSIONI CONCLUSIVE
Residuano talune ultime riflessioni in merito alla potenziale forza espansiva che i
moderni sistemi di e-commerce possono proiettare sulla fattispecie delittuosa esaminata. Pur considerando penalmente irrilevante il comportamento del produttore e dell'operatore commerciale che, in una realtà di mercato ben definita e circoscritta, lucri su fattori contingenti che determinano l'impennata del prezzo di un determinato prodotto, va tuttavia attentamente considerato l'enorme potere di destabilizzazione del mercato che la
medesima condotta può acquisire se realmente calata nel mondo del commercio digitale, caratterizzato dalla rapidità di circolazione delle informazioni e dalla possibilità di immediata condivisione di scelte e decisioni.
Si immagini quali potrebbero essere gli effetti della condotta contestata nel caso in esame ove la stessa sia tenuta (in modo apparentemente autonomo e disconnesso, così come in realtà è avvenuto nella prima fase della pandemia da Covid19) da una serie di produttori e commercianti che consapevoli della penuria di un bene di primaria necessità (qual era, all'epoca dei fatti, la mascherina filtrante), ne immettano nel mercato solo minime quantità al fine di mantenere spropositatamente elevato il prezzo di vendita con conseguente alterazione dell'equilibrio di mercato.
E' in base alla predetta riflessione che si è indotti a ritenere penalmente sanzionabile, a titolo di concorso, la condotta di più imprenditori che, anche mediante l'impiego di piattaforme on-line di vendita dei prodotti, sulle quali è possibile allineare le decisioni relative ai prezzi ed alle strategie di vendita, si coordino in maniera scientifica per creare le condizioni di cui al primo comma dell'art. 501 bis c.p., ovvero per sfruttare in modo illegittimo una contingente situazione di penuria di un determinato bene di prima necessita.