RESPONSABILITA' PENALE COLPOSA IN AMBITO MEDICO. IL PRINCIPIO DI CERTEZZA DEL DIRITTO E GLI IMPROVVIDI INTERVENTI LEGISLATIVI.
Il diritto penale, frammentario e residuale per definizione, soggiace al principio del nullum crimen sine lege, actione, culpa e iniuria.
La peculiarità - legata al carattere estremamente afflittivo delle sanzioni penali - da un lato, dovrebbe indurre il legislatore a scelte lessicali di facile comprensione (pochi e chiari precetti penali), dall'altro, dovrebbe imporre criteri estremamente rigidi di intervento legislativo, imponendo il massimo rigore sistematico e terminologico al fine di preservare l'intelligibilità del sistema.
Purtroppo, così non è.
Sempre più frequentemente, il legislatore, per i più disparati motivi (non ultimo quello, non propriamente virtuoso, di attirare consensi elettorali), interviene in ambito penale riformando istituti e fattispecie penali con novelle che, lungi dal rispettare il principio di chiarezza e di facile comprensione, creano profonde difficoltà ermeneutiche finanche al Supremo Collegio della Corte di Cassazione (è facile immaginare, pertanto, quale sia la difficoltà interpretativa che incontra il comune consociato).
E' quanto è clamorosamente accaduto con il susseguirsi degli interventi normativi in materia di responsabilità medica.
La disciplina, chiara, lineare e semplice - originariamente dettata dalle norme codicistiche (art. 589 e 590 c.p.) - che accomunava, sotto la medesima fattispecie penale, la condotta di chiunque, in qualsivoglia modo, cagionasse, per colpa, le lesioni personali o la morte di un soggetto, ha subito, nel corso degli anni, una drammatica frammentazione che ha generato un'inaccettabile moltiplicazione delle ipotesi delittuose (omicidio e lesioni in ambito stradale, omicidio e lesioni in ambito lavorativo, omicidio e lesioni in ambito medico ecc.).
Volendoci soffermare sulla terza categoria di omicidi, va segnalato quanto accaduto a seguito dei molteplici interventi legislativi tesi ad arginare un crescente ricorso alla tutela penale in caso di errori medici (diagnostici o terapeutici) che abbiano leso l'incolumità fisica del paziente ovvero ne abbiano determinato il decesso.
Con la L. 189 del 2012, il legislatore (invadendo, a mio modestissimo avviso, un ambito che doveva essere esclusivamente giurisprudenziale) aveva tentato di arginare la dilagante criminalizzazione (spesso strumentale rispetto ad istanze prettamente risarcitorie) delle condotte imprudenti, negligenti ed imperite in ambito medico.
L'intervento normativo finalizzato al contenimento del contenzioso penale ed ad evitare l'eccessivo ricorso a cautelative tecniche diagnostiche, anche invasive, (non strettamente necessarie ma pur sempre disposte per evitare rischi in capo al sanitario) aveva, in estrema sintesi, previsto che "l'esercente le professioni sanitarie che, nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve".
L'obbligo di diligenza imposto al medico, pertanto, sotto il solo profilo della responsabilità penale, si alleggeriva, sebbene solo in parte. Era evidente l'intento del legislatore (ma sarebbe forse dovuto essere del giudice) di arginare l'esecrabile tendenza a ricondurre le istanze risarcitorie di carattere prettamente civilistico in ambito penale. Il rischio di vedersi rigettata un'istanza di risarcimento in conseguenza dell'assoluzione dell'imputato avrebbe dovuto dissuadere i consociati dal ricorso a questa forma di tutela mediata.
Il problema apparentemente risolto sul piano normativo, si ripresentava sotto forma di interpretazione della norma: è nota la diaspora che sorse in seno alla Sezione IV della Suprema Corte in relazione alla portata della clausola di non punibilità. Si doveva ritenere che la colpa lieve in grado di scriminare la condotta del medico fosse estendibile all'imprudenza, all'imperizia e alla negligenza ovvero, tale innovazione andava circoscritta al solo caso di imperizia? Un'interpretazione letterale, consona ai criteri di tassatività della fattispecie penale, avrebbe, a mio avviso, dovuto far propendere per la prima delle due alternative.
La giurisprudenza di legittimità della IV Sezione Penale si divise sul punto, riconoscendo, in un primo momento, che la limitazione della responsabilità medica era cicoscritta alle sole ipotesi di colpa lieve pur rispettose delle raccomandazioni contenenti regole di perizia (su tutte Cass. Pen. IV, 24.1.2013 n. 11493) ed estendendo, in una seconda fase, la possibile rilevanza esimente anche a condotte non solo imperite ma anche negligenti.
A distanza di meno di cinque anni dall'emanazione della citata Legge, tuttavia. un nuovo intervento normativo, veicolatore di ulteriori insormontabili dilemmi, soggiunge a creare nuovo scompiglio tra gli interpreti.
La L. 24 del 2017, introducendo nel corpo codicistico l'art. 590 quater, prescrive che, nel caso di morte o lesioni legate all'esercizio dell'attività sanitaria: “qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni preiste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.”.
Tralasciando, in questa sede, i problemi legati alla successione di leggi nel tempo, è doveroso sottolineare come ad un'esclusione di rilevanza penale estesa a tutti i casi di colpa lieve si sostituisca oggi l'esclusione di rilevanza penale dei soli casi di imperizia preceduta da rigoroso rispetto delle raccomandazioni e delle linee guida ovvero delle buone pratiche mediche.
La scriminante che in precedenza operava in tutti i casi di colpa lieve, per effetto della novella legislativa, trova spazio solo nella descritta e circoscritta ipotesi di imperizia.
La negligenza e la imprudenza non sono contemplate dalla norma e pertanto parrebbe potersi sostenere che qualunque attività del sanitario censurabile sotto il predetto duplice profilo sia sempre e comunque destinata a trovare rilevanza penale.
Quella appena offerta è evidentemente una lettura estremamente rigorosa che rispetta in modo tassativo i principi fondamentali del diritto penale di cui si è detto in precedenza. Ma essa conduce ad inaccettabili contraddizioni del sistema.
Si finisce, invero, per negare la responsabilità del medico che, pur avendo rispettato alla lettera le raccomandazioni previste dalle linee guida, anche in tema di opzione chirurgica o terapeutica in generale, esegua concretamente un intervento in modo maldestro e cagioni in tal modo il decesso del paziente.
E' in tale ottica che una prima pronuncia della Suprema Corte (IV Sezione Penale - 20 aprile 2017 – n. 28187), nel disperato tentativo di neutralizzare un tal rischio (di palese violazione della Carta Costituzionale, sia in termini di rispetto del principio di uguaglianza che di rispetto del diritto inviolabile alla salute), era arrivata a statuire che il sanitario potrà andare esente da responsabilità solo nelle ipotesi in cui il suo operato sia rispettoso delle più volte citate raccomandazioni, sia in fase elettiva (rispetto al tipo di intervento da porre in essere) che in fase esecutiva.
Recentissimamente, la medesima sezione della Corte di Cassazione, trascurando l'indirizzo offerto dal citato precedente, ha, per contro, statuito che: “L'art. 590 sexies c.p. prevede una causa di non punibiltà dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta imperita nell'applicazione delle stesse.”. Una presa di posizione, questa, che sembra voler scagliare verso il legislatore il frutto del suo cattivo operato. Una norma mal formulata non può che generare decisioni inique e, talvolta, paradossali, come quella appena citata, secondo la quale l'imperizia in fase esecutiva sarebbe comunque in grado di scriminare la condotta colposa del medico, se posta in essere a valle di uno scrupoloso rispetto, in fase pre-esecutiva, delle raccomandazioni e delle linee guida. Il medico che scelga correttamente il tipo di intervento e poi per assoluta imperizia cagioni lesioni letali al paziente non dovrà rispondere penalmente del suo operato.
Il contrasto giurisprudenziale insorto in seno alla medesima sezione della Corte di Cassazione ha stimolato la trasmissione di un terzo fascicolo, relativo ad un processo penale a carico di un medico neurochirurgo, alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che si pronunceranno il prossimo 21 dicembre.
Non resta che attendere la relativa decisione e ammettere che, ancora una volta, l'inopportuno o quantomeno inadeguato intervento del legislatore ha generato un corto circuito interpretativo a serio e drammatico discapito della collettività che, al momento, non ha chiari i termini di portata della fattispecie penale.